
CHOPIN
12 Études op. 10
12 Études op. 25
Trois Nouvelles Études op. postuma
Maurizio Baglini,
pianoforte Wilhelm Lange 1830 (op. 10), Ignace Pleyel 1849 (op. 25 e op. postuma)
PHOENIX
PH 00621 1 CD 60'09
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Filologia e fantasia
Degli studi op. 10 e op. 25 di
Chopin, banco di prova della maturità tecnica e musicale
di ogni pianista, esistono attualmente numerose registrazioni
integrali: tra le più interessanti, ricordiamo quelle celebri
di Arrau, Ashkenazy, Backhaus, Cortot, François, Pollini,
e quelle meno famose - ma di altissima levatura poetica - di Raul
Koczalsky e Shura Cerkassky. Nessun pianista prima d'ora, però,
si era cimentato nell'incisione di tutti gli Études
(compresi i Trois Nouvelles Études op. postuma)
su un pianoforte dell'epoca di Chopin, considerando quindi le
intenzioni espressive del compositore in rapporto con le potenzialità
meccaniche e timbriche dello strumento di cui egli disponeva.
Proprio per questo il recente CD inciso da Maurizio Baglini suscita
particolare interesse e curiosità. Baglini, già
segnalatosi per una convincente e fantasiosa interpretazione discografica
degli studi di Chopin su un pianoforte moderno (Phoenix PH 98043,
1997), li ha infatti registrati nuovamente utilizzando due strumenti
storici: un Wilhelm Lange del 1830 (per i 12 studi op. 10) ed
un Ignace Pleyel del 1849 (per i 12 studi op. 25 e i 3 studi op.
postuma). Pur se molto diversi fra loro, entrambi - ma soprattutto
il Pleyel - sono particolarmente adeguati al pianismo chopiniano,
mettendone in luce aspetti timbrici e dinamici irrealizzabili
con i pianoforti moderni.
Il Lange è uno strumento
viennese costruito nel 1830, probabilmente molto simile a quello
su cui Chopin concepì gran parte degli Études
op. 10. È caratterizzato da un suono nitido e argentino
nel registro acuto, che consente di mettere a fuoco ogni dettaglio
anche in punti particolarmente ostici, come gli arpeggi dell'op.
10 n. 1 o i rapidissimi passaggi dell'op.10 n. 4. I bassi presentano
una sonorità più robusta, ma sempre molto definita,
e mantengono una notevole chiarezza espressiva anche quando il
pedale di risonanza viene utilizzato per lunghe frasi. La marcata
individualità dei vari registri permette all'interprete
di ottenere un esemplare nitore nelle trame contrappuntistiche,
con una precisa collocazione spaziale delle varie voci. Grazie
a queste caratteristiche, Maurizio Baglini riesce a rispettare
fedelmente le indicazioni metronomiche e di pedalizzazione prescritte
da Chopin, senza mai, peraltro, rinunciare alle proprie originali
intenzioni espressive. Meritano certamente un elogio le letture
degli studi "lenti" op. 10 n. 3 e n. 6, qui eseguiti
al tempo suggerito dall’autore, molto più rapido di quello
adottato nella maggior parte delle interpretazioni moderne. La
plasticità della linea melodica assume così una
nuova chiarezza, ed il discorso musicale procede sempre con coerenza
e fantasia, toccando vette di forte intensità emotiva.
I limiti della meccanica del Lange, priva del "doppio scappamento",
emergono in alcuni passaggi veloci, soprattutto nelle note ribattute
dell’op. 10 n. 7, che non possono essere eseguite con lo slancio
e la fluidità ottenibili su un pianoforte di oggi.
Lo strumento scelto per gli studi
op. 25 e per i tre dell'op.postuma è, invece, un Pleyel
(modello prediletto da Chopin, sin dal suo arrivo in Francia nel
1831), con un suono più pastoso rispetto al Lange, e con
minori differenze timbriche tra i vari registri. Baglini ne sfrutta
al meglio le risorse dinamiche per ottenere affascinanti ombreggiature
di colore e subitanei sbalzi espressivi, rendendo perfettamente,
ad esempio, tutte le sfaccettature cromatiche dell'op.25 n. 2
e del primo studio op. postuma. Nell'op. 25 n.7 il pianista sceglie
un tempo sensibilmente più rapido di quello a cui siamo
abituati e restituisce una maggiore unità alla composizione,
con un "rubato" suadente e naturale.
In generale, l'approccio interpretativo
di Baglini è coerente con quello della sua precedente incisione.
Sul mero sfoggio del dominio meccanico della tastiera prevalgono,
cioè, la ricerca coloristica e la tendenza a valorizzare
il fascino del dettaglio, senza peraltro nuocere alla chiarezza
formale.
La presa del suono risulta molto
buona, considerate anche le difficoltà che sorgono quando
si utilizzano strumenti d'epoca. Non si può naturalmente
pretendere la precisione dinamica ed esecutiva ottenibile su un
pianoforte moderno. Ma, tra tante incisioni perfette e poco ispirate,
c'era sicuramente bisogno di una lettura fresca ed originale come
questa, che unisce alla consapevolezza filologica una spiccata
individualità artistica. |