 PETAZZI Paolo
Le sinfonie di Mahler
MARSILIO 1998 pp.269 |
Solo negli ultimi tre decenni, e molto gradatamente,
le sinfonie di Gustav Mahler sono entrate nel comune repertorio
concertistico: se è vero che direttori d’orchestra, festival
ed associazioni musicali hanno oramai assunto stabilmente le
opere del compositore boemo nella loro programmazione, è anche
vero che il processo di assimilazione della sua musica presso
il pubblico non è stato privo di resistenze e fraintendimenti.
Dopo anni di chiusura quasi totale, solo a tratti squarciata
dalla volenterosa attività di alcuni "apostoli" come
Bruno Walter, Willem Mengelberg ed Hermann Scherchen, si è passati
all’altrettanto deplorevole ubriacatura ideologica sostenuta,
specie in Italia, da infatuazioni decadentistiche e da un tardivo
interesse nei confronti della cultura viennese, sintomo di un
atteggiamento intellettuale tanto entusiastico quanto digiuno
di adeguate categorie interpretative del testo musicale. Tuttavia,
già a cavallo degli anni sessanta e settanta (e forse anche
oggi) proporre nelle stagioni delle associazioni filarmoniche
le sinfonie di Mahler era segno di un preciso orientamento estetico-musicale
(per non dire "politico"), e non è forse un caso che
proprio in quegli stessi anni iniziò anche una rigogliosissima
fioritura critica che vide la pubblicazione di numerosi saggi
relativi alla sua figura ed alla sua opera, primo fra tutti
il noto pamphlet di Theodor Wisengrund Adorno (1960)
che ancora oggi costituisce un fondamentale terreno di confronto.
Il legame con la tradizione ottocentesca e la compresente tensione
verso il futuro che esaurisce e satura quella stessa tradizione,
caratteristiche principali dell’esperienza artistica
mahleriana,
consentono di per sé letture molteplici e diversissime prospettive
interpretative: la necessità di una riflessione su di esse è
la base per una rinnovata attenzione al corpus delle
opere di Mahler, alla luce di una più disincantata analisi della
sintassi e del significato del suo personalissimo linguaggio.
Da tali presupposti prende le mosse Paolo Petazzi
in questo volume intitolato Le sinfonie di Mahler, pubblicato
da Marsilio lo scorso anno in occasione del ciclo di concerti
"Berg - Mahler" organizzato dal teatro La Fenice di
Venezia. L’attività musicologica di Petazzi è assai rara
per il nostro paese poiché unisce alla ricerca storica e analitica
un’intelligente attività di critico musicale. Chi scrive
ne apprezza da tempo l’impegno militante a favore della
divulgazione delle istanze estetiche e musicali della Seconda
Scuola di Vienna e del pensiero critico che da essa deriva.
Questo libro dedicato a Gustav Mahler ne è la testimonianza
più recente e si pone idealmente al fianco della monografia
berghiana edita dallo stesso autore per Feltrinelli più di vent’anni
fa: esso favorisce una fruizione articolata su molteplici livelli,
offrendo al lettore diverse tipologie di approccio alle opere
del compositore boemo.
La prima di esse è certamente determinata dal
suo evidente intento divulgativo. Lo si percepisce già dall’ordinatissima
disposizione editoriale, dove all’analisi di ogni sinfonia
è dedicato un capitolo a sua volta suddiviso in una breve introduzione
sulla genesi dell’opera, seguita dalla sistematica presa
in esame di ciascun movimento: questo permette al lettore di
documentarsi immediatamente sul brano che interessa, anche se
la complessiva omogeneità del linguaggio e dell’impostazione
metodologica (la cui chiarezza nulla deroga all’esattezza
della terminologia e alla complessità di taluni argomenti) consente
di ritrovare non pochi elementi per una lettura unitaria. In
particolare emerge quasi naturalmente, come fosse una narrazione
latente, il senso profondo dello sviluppo del pensiero musicale
di Mahler, il mutare dei suoi rapporti con la forma sinfonica
e liederistica, ed il definirsi di quel concetto di "programma
interiore", fondamentale per intendere la sua opera, che,
sinfonia dopo sinfonia, andava chiarendosi e sempre più astraendosi
dai significati convenzionali. Nel complesso emerge il profilo
di un compositore assai lontano dagli stereotipi del musicista
tardoromantico, categoria in cui la figura di Mahler pure è
spesso inserita. Piuttosto il libro ha il pregio di rivelare
la grande attualità del suo linguaggio, dal momento in cui Petazzi
sottolinea, già nell’introduzione, che "con la sinfonia
Mahler intendeva «costruire un intero mondo», dare concreta
voce alla complessità e molteplicità di un’esperienza del
reale aperta e frantumata, con un’ansia demiurgica carica
di prepotente energia" (pag.XII).
Il dispiegarsi di questa "ansia demiurgica"
è raccontato da Petazzi mediante un attento confronto tra le
fonti (come la biografia di Bruno Walter e le preziose raccolte
epistolari) e soprattutto attraverso la sistematica descrizione
morfologica dei lavori sinfonici di Mahler e l’interpretazione
dei loro significati, alla luce della volontà del compositore
di rappresentare una realtà frammentata e aperta, difficilmente
riconducibile a schematizzazioni e semplificazioni formali ed
espressive. A tale proposito la ricerca di Petazzi assume anche
l’aspetto di un interessantissimo dialogo esegetico, al
quale partecipano idealmente gran parte degli studi sulla musica
di Mahler, dal già citato saggio di Adorno, ai testi più recenti.
Tale dialogo diviene un autentico confronto tra le diverse impostazioni
metodologiche là dove vengono presi in esame i brani più complessi
e discussi delle sinfonie mahleriane (l’episodio della
cornetta del postiglione nella Terza, lo scherzo della Quinta,
i movimenti conclusivi della Sesta e della Settima, ecc…).
Anche l’analisi musicale è condotta in modo sempre coerente
con l’impostazione generale, poiché l’autore accompagna
le puntualizzazioni tecniche con altrettante informazioni sul
significato poetico, espressivo nonché biografico dei brani,
che stemperano l’aridità dell’approccio puramente
scientifico ed anzi ne contestualizzano gli effetti determinando
così una pluralità di codici ed informazioni in grado di restituire
la composita realtà del mondo sinfonico di Mahler.
Fedele ai principi mahleriani, anche la concezione
del libro presenta una sorta di "programma interiore",
di oggetto nascosto, che Petazzi rivela soltanto nell’ultimo
capitolo dall’emblematico titolo "Un aspetto dell’eredità
mahleriana: Mahler e Berg", nel quale è evidente la volontà
di tracciare un percorso di ideale continuità tra l’esperienza
sinfonica di Mahler ed i compositori della Seconda Scuola di
Vienna. In questo prospettiva l’idea di una assimilazione
alla poetica del tardo romanticismo (così cara a Bruno Walter)
non solo non è più sostenibile ma sembra scontrarsi con gli
stessi principi costruttivi delle sinfonie, così brillantemente
sintetizzati da Pierre Boulez. Il direttore e compositore francese
scorge infatti in Mahler "l’angoscia di dar vita a
un mondo proliferante oltre ogni controllo razionale, la vertigine
di creare un’opera ove l’accordo e la contraddizione
sono distribuiti equamente, l’insoddisfazione per le dimensioni
già esplorate dell’esperienza musicale, la ricerca di un
ordine meno evidentemente stabilito e accettato con minore compiacimento"
(p.XIII). Una tale de-categorizzazione del comporre non poteva
certo fare scuola, almeno nel senso tradizionale del termine,
cioè come proseguimento di un ben preciso sentiero creativo
e stilistico. Poteva sperare invece che qualcuno ne raccogliesse
l’eredità in un senso più profondo, "una eredità ideale,
di natura in primo luogo morale, la consapevolezza di una affinità
elettiva nel modo di porsi di fronte al linguaggio con un’ansia
di «verità»" (p.227). Proprio in questa "ansia di
verità", che significa anzitutto coscienza dinanzi alla
storia e al linguaggio, risiede, secondo Petazzi, il messaggio
più autentico dell’opera di Gustav Mahler che Schoenberg,
Berg e Webern seppero ascoltare e, ciascuno a loro modo, far
rivivere nelle loro opere. La prospettiva dell’eredità
mahleriana, così ben chiarita in questo libro, si protende allora
anche ben al di là della stessa neue Wiener Schule ed
assume il valore di un autentico paradigma della modernità,
in quanto volutamente distante da ogni categorizzazione, ed
invece disposta a costruire un mondo che sia specchio di una
realtà frammentata, articolata e molteplice.
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