
Una musica che ha la forma delle nuvole.
Ricordo di Franco Donatoni
"Le nuvole sono forme individualmente
impermanenti, la nuvolosità è mobile ma costante, eppure deve
ad esse il mantenimento del proprio stato identificabile; è ancora
alla mutazione conservata delle loro forme individuali asimmetriche
che essa nuvolosità si identifica nel suo mutamento differenziato"
(Franco Donatoni, In-oltre, 1988).
Franco Donatoni, era nato a Verona
il 9 giugno del 1927, è morto il 17 agosto. Da tempo soffriva
di diabete e, due anni fa, era stato colpito da ictus, la sua
salute si sapeva molto precaria tanto che per il recente brano
composto per la Los Angeles Philarmonic Orchestra si era fatto
aiutare da alcuni suoi allievi. Ne aveva molti di allievi, era
stato insegnante al Conservatorio di Milano (dov’è avvenuta la
cerimonia funebre), ai Corsi di alto perfezionamento dell’Accademia
di santa Cecilia a Roma, al DAMS musica dell’Università di Bologna
e moltissimi sono stati i vari Corsi di composizione a livello
internazionale, dai quali sono usciti moltissimi dei migliori
Autori di musica dei nostri giorni (un magistero paragonabile
solo a quello di Goffredo Petrassi). Per i suoi 70 anni era stato
festeggiato in tutto il mondo (da Siena a Salisburgo, da Cordoba
a Londra, da Edimburgo a Los Angeles, da Amsterdam a Trieste),
come uno dei più grandi compositori del nostro secolo, un secolo
che sta per finire e ch’è stato fra i più tormentati e affascinanti
della storia. Un secolo molto importante per la musica, italiana
in particolare, intrigante come non mai.
Donatoni aveva iniziato la sua
carriera negli anni Cinquanta, con progressivi accostamenti, prima
a Bartòk (fino al 1954), poi a Webern (come in pezzi quali Composizione
per pianoforte del 1954) e infine ai giovani maestri di Darmstadt
(Improvvisazioni per pianoforte del 1957). Con la composizione
di For Grilly, improvvisazione per sette strumenti, del
1960, Donatoni supera il pedantesco puntillismo della serialità
applicata a tutti i parametri, spostandosi verso l’indagine materica:
i singoli intervalli perdono il loro peso e le linee s’intersecano
fino alla coagulazione. Attraverso il dripping del flusso
sonoro di For Grilly si arriva all’ abbandono al materiale
messo in atto in opere come Puppenspiel (1961) e Per
orchestra (1962), lavori orchestrali nei quali l’io non è
il presupposto certo del pensare e del volere, il pensiero viene
quando è lui a volerlo, non quando io lo voglio. L’unitarietà
e autorevolezza della forza del pensiero e della volontà si rovescia
in un’accozzaglia di confusi frammenti di materia, un magma sonoro
in continuo movimento ma senza direzionalità.
L’abbandono al materiale e l’abolizione
del soggetto si attua, tecnicamente, ricorrendo all’ indeterminazione
assunta, come dice lo stesso Donatoni nel suo libro Questo
(1970), "come processo di interiorizzazione della casualità,
secondo il quale dalla indeterminazione come fine si procede
verso una indeterminazione del fine." Seguendo le
indicazioni della dialettica negativa di Adorno, la casualità
viene elevata a poetica, a principio di un fare disordinato perché
specchio di un disordine generale e interiorizzato. La fisicità
del suono e l’impostazione a-razionale (di matrice cageana) viene
filtrata attraverso una diagnosi esasperante di una condition
humaine nutrita d’orrore, così il pensiero negativo entra
nella musica di Donatoni. La divaricazione fra pensiero e musica
è attuata con coraggioso cinismo nei tessuti musicali polverizzati
dell’ automatismo combinatorio, nell’inquietante e impassibile
brulichio di una materia in lievitazione. Ma in Donatoni
l’angoscia non è mai ridotta a metafisica, ma sempre oggettivata
fisicamente nel dolore e nella malattia. Ma proprio nel culmine
della lacerazione si nasconde l’attaccamento alla vita. Proprio
l’accettazione dell’angoscia si fa garante dell’ affezione
di vita: a ogni quantità di forza vitale corrisponde un adeguato
potere di essere affetti da ciò che ci circonda.
Nel libro Questo, Donatoni
descrive il suo percorso agli inferi e, a un tempo, il tentativo
di risalita. Fino agli inizi degli anni Settanta, Donatoni mantiene
sempre un atteggiamento di estrema disponibilità verso la materia
musicale, fustigando ogni esuberanza dell’Ego, e rivolgendo severissime
analisi ai propri turbamenti psichici. La riflessione si esplica
sui labirinti affascinanti di un’interiorità ricchissima, dove
l’auto-analisi ha pure una funzione di sfogo e di desiderata epurazione.
A prescindere dalla sintonia culturale
con i canoni del pensiero negativo, il pensare e fare musica di
Donatoni è legato al suo apparato neuro-vegetativo, anzi deriva
dai suoi stati di salute ovvero dalle sue esperienze vissute.
Nel 1972 una forte turba depressiva fa scattare la crisi risolutiva:
toccata l'estremità del fondo o si muore o s'inizia la risalita.
Nel 1980, esattamente 10 anni dopo il primo libro, viene pubblicato
Antecedente X, un volume che chiarisce l'avvenuto percorso
verso una rinascita. La perdita della coscienza dell’io viene
ora mutata nella perdita dell’io nella coscienza: "l’equivocato
abbandono al materiale" – scrive Donatoni – "fu
piuttosto un abbandono del materiale." Il ritrovamento
della coscienza e del metodo (onirico e ludico) permette una nuova
rivelazione della creazione, intesa come dono.
Nell’antecedente si insinua il
Numero, che suggerisce e indica, che compone "gli arabeschi
del destino, revoca epifanie, promette adempimenti, regola equilibri,
formula presagi, intrica labirinti, celebra misteri dai quali
l’io è assente \…\ il numero è l’antecedente di ogni antecedente."
Il comporre è, per Donatoni, sempre un compor-si, in quanto l’operare
non è niente più che la proiezione dell’esistere e l’esistenza
nient’altro che l’introspezione dell’opera. In sostanza la scrittura
di Donatoni è una perenne ri-scrittura e, in tal senso, vi è sempre
una continuità nel cambiamento che lega le prassi degli anni Sessanta\settanta
a quelle successive che risultano essere dei ri-pensamenti del
già pensato. Molto si è modificato nell’operare di Donatoni, soprattutto
nel periodo intorno alla metà degli anni Settanta (con pezzi come
Lied, Voci, Duo per Bruno eppoi la serie dei pezzi solistici
quali Algo, Ali, Argot, Nidi ecc.), ma il processo di modificazione
rimane ancorato a una sorta di domanda originaria ch’è
quella sulle modalità che legano l’esistenza umana a quella artistica,
interrogativo che viene adesso risolto ricorrendo a una scrittura
"lineare" e pulita, soggetta a una strabiliante improvvisazione
delle trasformazioni, mutevoli e non sistematiche nel loro hic
et nunc indeterminato, in una rinnovata esigenza dell’invenzione.
Negli anni Sessanta il procedere
compositivo si affidava a un automatismo meccanico, cieco e caotico,
mentre poi, lo stesso automatismo non è più casuale e indeterminato,
ma procede come un fatto germinale, crescendo o restringendosi,
allargandosi e contraendosi. "Se un tempo" – scrive
Donatoni – "la tendenza autogeneratrice attribuiva alla materia
l’immanenza di impersonali leggi di crescita, in omaggio al tanto
vagheggiato abbandono al materiale, ora sono ben certo che l’esercizio
ludico dell’invenzione si pone come l’attività volontaria necessaria
alla crescita: la generazione automatica viene dunque recuperata
a una funzione di rivitalizzazione organica della materia, mediante
prassi compositive estremamente semplici." Quali sono queste
tecniche "semplici"? Molti dei pezzi degli anni Ottanta
si basano su un’impostazione generale simile: i brani sono divisi
in movimenti di carattere differente e ogni movimento è costituito
da pannelli statici, però variamente articolati all’interno, montati
secondo diverse modalità. La ricercata scrittura di disinvolta
flessuosità, si mantiene sempre su toni di sgargiante agilità
e di delicata leggerezza, e, nonostante una notevole difficoltà
di esecuzione, non si tratta di una scrittura volutamente virtuosistica,
ma è semmai il risultato dell’indagine delle possibilità offerte
dalle particolarità dello strumento, possibilità di indagare modelli
esecutivi non ancora sperimentati, dove stasi e movimento, variante
e invariante, continuo e discontinuo, vengono colti nel loro presentarsi
immediato.
La composizione a pannelli ha
un tempo circolare che subisce una variazione di angolatura, si
tratta quindi di un movimento a spirale. In quasi tutte le opere
recenti, queste trasformazioni che ritornano su se stesse non
ricadono mai nel punto di partenza. Il centro è, di volta in volta,
in ogni luogo. Il pensiero orizzontale della musica di Donatoni,
dalla fine degli anni Settanta in poi, nasce dalla flessibilità
dei codici che sono pensati su un’unica linea. Una linea sola,
ma con una permutazione di movimenti diversi.
La figura musicale viene intesa
come riconciliazione con il mondo. "Dall’abbandono al materiale
all’abbandono alla figura" – scrive Donatoni – "per
figura intendo, allargando al massimo il significato della parola,
qualsiasi frammento nel quale il livello dell’articolazione consenta
di riconoscerne l’identità topologica, non come organismo individuale
tematicamente e soggettivamente connotato, ma come singolarità
riconoscibile nelle determinazioni che sono proprie alla sua connotazione
generalizzata." La figura di Donatoni è un frammento e procede
per ramificazioni, come il rizoma di Deleuze e Guattari, creando
forme di nuvole.
"Il fondamento di ogni figura
è nell’anonima semplificazione dell’ornamento: materiale senza
identità, ma generatore di forme identificabili", ancora
una volta Donatoni pensa a una continuità di uno stato musicale
analogo a uno stato gassoso o liquido.
"Chi può oggi" – si
chiede Pierre Boulez – "unire le qualità minute dell’artigiano
con l’originalità di un raffinato mondo immaginario?", Franco
Donatoni ovviamente, che "unisce finezza sonora a un’invenzione
forte", come dice un altro illustre ammiratore, Iannis Xenakis.
L’ultima produzione di Donatoni, da Refrain II (1991) e
III (1993) a In Cauda II (1994) e III (1996),
da Portal (1994) a Algo n. 3 (1995) e n. 4 (1996),
da Punppenspiel n. 3 a Rusch (entrambi del ’95),
dimostra come Donatoni sia approdato a un felice esercizio ludico
dell’invenzione, che dice sì all’esistenza e all’opera, inoltrandosi
nella parte intima e segreta del comporre, in un viaggio temerario
e sbalorditivo dentro il cuore dell’operare in musica, incredibile
e straordinaria testimonianza sulle "difficoltà del comporre",
esplicitata non solo attraverso un artigianato artistico di altissima
qualità, ma anche attraverso le infinite avventure umane percorse,
approdando a una facilità di scrittura sicurissima, a una libera
spontaneità del linguaggio musicale e a una forte espressività,
che – da sempre – comunica la profondità dell’avvenuto sposalizio
fra vita vissuta e musica scritta.
PER CONOSCERE MEGLIO DONATONI
F. Donatoni, Questo, Adephi,
Milano 1970.
Idem, Antecedente X, Adelphi, Milano 1980.
Idem, Il sigaro di Armando, Spirali, Milano 1982.
Idem, In-oltre, L’Obliquo, Brescia 1988.
R. Cresti, Franco Donatoni, Suvini Zerboni, Milano 1982.
G. Mazzola Nangeroni, Franco Donatoni, Targa Italiana,
Milano 1989.
AA. VV., Donatoni, EDT, Torino 1990. |